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La distanza sociale ai tempi del Covid

Doveva servire a mettere una distanza tra noi e gli altri. Proteggerci contro il Covid, contro il rischio dell’emergenza sanitaria, contro la saturazione delle terapie intensive. Si sono adoperati al suo rispetto decine di categorie diverse. La casalinga al balcone, il giustiziere della città , il poliziotto di quartiere. Ciascuno ha fatto la sua parte: se vedeva assembramenti li denunciava. C’è chi ha chiamato i Carabinieri, chi ha inveito da lontano, chi ha predicato da vicino talora rischiando anche in prima persona. E poi ci siamo noi giornalisti. Sempre pronti a fare la morale al paese. A raccontare le sue contraddizioni. Sempre pronti a censurare le “cattive abitudini” degli italiani. Le cicche buttate per terra, l’abitudine di lasciare la macchina in doppia fila, la consuetudine di non rispettare le fila in posta. E poi ultimamente si sprecano i cazziatoni sugli assembramenti sui navigli. In prima fila ci sono loro: gli immarcescibili giornali della neo famiglia Exor che ha fatto l’asso pigliatutto. Loro bastonano senza remore: se t’azzardi a fare una passeggiata di troppo arrivano loro e sono davvero dolori. I giornalisti sono sempre più emuli della nomenclatura democristiana: intoccabili. In Via Casoretto a Milano ad accogliere Silvia “Aisha” Romano, erano decine. Hanno violato tutte le regole che si potevano violare. Le distanze di sicurezza, i protocolli anti Covid, le regole del buon senso, le norme di emergenza sanitaria, la distanza. Si sono letteralmente tuffati su Silvia, una volta scesa dalla macchina. Cosi facendo hanno messo a rischio la vita prima di tutto loro e poi quella dei poliziotti. Immagini raccapriccianti: fatte davanti a telecamere di tutta Italia, a microfoni giunti da ogni dove. E generalmente senza sensi di colpa. L’assembramento più clamoroso dall’inizio del Covid ha visto protagonisti giornalisti e uomini di tutte le forze dell’ordine. Nessuno ha mosso un dito, nessuno ha interrotto con la forza una tale pletora di persone. Una scena di palese imbarazzo, di vergogna collettiva. In cui a rimanere in silenzio sono stati proprio loro: poliziotti e giornalisti. Gaber avrebbe detto: “Io non mi sento Italiano”

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