Coronavirus: penso a chi deve arrivare a fine mese

Penso a chi non ce la fa. A chi con tutta la buona volontà non ha più un soldo. Pensavo ad Andrew. Un giovane ragazzo nigeriano arrivato qui due anni fa con una laurea e tre lingue parlate, che ho conosciuto al bar sotto casa mentre faceva l’elemosina e fuori c’era un freddo polare.

Penso a chi ha avuto un lavoro precario, ad un collega che oggi m’ha detto: “M’hanno messo in cassa integrazione”. Penso a quelli che facevano lavoretti precari e adesso sono in pausa forzata. Penso a Ester, che vive con 500 euro al mese e con quello che gli rimane, pagato l’affitto di una stanza, cerca di sopravvivere facendo un po’ di spesa. Penso a tutti coloro che abbiamo abituato a vivere a nero, soprattutto nel mezzogiorno, ma anche qui nel nord, dove il caporalato sfrutta gli immigrati per portarseli nei cantieri, caricandoli in macchina alle 5.00 del mattino.

Penso ai diseredati che semplicemente non hanno nulla, dormono nei sottopassi della stazione Centrale di Milano, usciti da qualunque cronaca dei giornali. E penso a tutti coloro che sono malati, ma non di Covid-19, in taluni casi rimandati a casa, per lasciare libere le corsie degli ospedali. Penso al fato, al destino, e m’interrogo se esista un senso a tutto quanto sta accadendo. Penso alla bellissima Bergamo, alle città lei vicine, falcidiate da migliaia di morti.

Penso a tutto questo e mi sovviene che Confindustria, non solo la politica, ha detto no alla zona rossa di Nembro e Alzano Lombardo. Penso al sindaco di Nembro che si era opposto alla zona rossa. Penso a Salvini, Sala, Gori, Giuseppe Conte, Attilio Fontana, che in modi e momenti diversi avevano invocato di tenere aperte le città, il Paese. Penso a chi ha sancito di distribuire 600 Euro con la stessa logica con cui si mette una moneta nel cappello del ragazzo che ti fa il numero da circo per strada, o alla zingarella che ti lava il finestrino, al semaforo.

Penso alla conferenza stampa di Giulio Gallera, Assessore al welfare in Regione Lombardia: lui, oggi, nella diretta Facebook, s’è portato al telefono Gerry Scotti. Quello del milionario, del riso, del partito socialista e del Dj, per chi conserva memoria.

Penso a chi sta cominciando a soffrire, a fare una telefonata a casa per chiedere aiuto per pagare l’affitto. Penso al padre di famiglia che non ha più il lavoro ed ha dei figli. Penso a come guarda lui la mattina i figli, come gli spiega che resta a casa, come ne limita e contiene le continue richieste sollecitate dalla voracità consumista della TV e dei cellulari. Come spiega, una madre single, che lavorava come precaria in un negozio di vestiti, al proprio figlio, che i soldi non ci sono, che non c’è un I-Pad per fare lezione a distanza. Immagino un anziano a casa, da solo, magari con un cane o un gatto e come unica matrigna la televisione.

E poi penso al fatto che un consigliere regionale calabrese o della Basilicata o della Toscana, o della mia regione, la Lombardia, questo mese appena passato ha fatto solo 3 giorni di lavoro d’aula, ma s’è preso i suoi 8.000 euro netti. Penso al Parlamentare che chiede 1000 Euro subito per tutti, sapendo che quei soldi non ci sono, e che mentre mette sotto al naso dell’affamato, una luculliana pietanza, sa pure che sta solleticando sogni che non si potranno avverare mai. E anche lui passa all’incasso mensilmente di uno stipendio che una cameriera o un insegnante, se lo sogna

Penso a tutti quei medici, alle infermiere e agli infermieri e alle Oss che si prodigano quotidianamente negli ospedali in questi giorni, sapendo di potersi beccare un virus che potrebbe stroncarli. E penso a Rocco Casalino, al giorno in cui gli vidi fare una telefonata davanti a me, alla sua idea di pubblica moralità, alle sue lezioni tenute davanti ai giornalisti per essere stato uno del Grande Fratello, e non un ingegnere, e al suo lauto stipendio che se non erro si aggira attorno ai 170.000 euro lordi l’anno.

Mi balena davanti agli occhi il ricordo di quanta gente ha perso il lavoro e di cui ho raccontato nelle mie cronache marziane su questo blog, sui social per cui lavoro, nel totale disinteresse delle persone che dovrebbero occuparsi di garantirla, l’occupazione.

Mi viene in mente che in queste cinque settimane di Coronavirus, dell’Italia che soffre, delle piccole e medie imprese, degli artigiani, dei liberi professionisti, degli autonomi e della loro condizione non s’è praticamente parlato, se non come ragguaglio a latere di qualche demagogica proposta, quasi sempre senza copertura.

E mi viene in mente in questo frangente quanto grande sia la pazienza di chi si è sempre comportato bene; ha agito rettamente, ha cercato di rispettare la legge, ha rinunciato alle feste, al vestito, alla casa, alla macchina, a volte persino all’autonomia e alla libertà.

Sono le circostanze in cui ammiro la gente che ha lavorato la terra per darne i frutti a noi che gli siamo succeduti. Penso a chi la vita l’ha persa combattendo sul Carso oppure negli appennini durante l’occupazione nazista. E mi sovviene se stiamo lasciando qualcosa di bello e duraturo a chi verrà dopo di noi.

Guardo il cielo e non sono sicuro di avere una risposta.

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