Se questa è politica: Salvini e le violazioni

Ditemi ora se questa è politica. I reati non si contano. Violazione della privacy, aggressione, diffamazione a mezzo stampa, tanto per cominciare. Non escluderemmo neppure l’ipotesi di un abuso d’ufficio, vilipendio delle istituzioni di cui comunque fa parte. Andare a far sortite, extra ordinem, presso il domicilio privato di famiglie, chiedendo se appartengono a qualche categoria di criminalità è l’ultima estemporanea soglia, varcata dalla politica contemporanea.

Tu fai il politico e sei in campagna elettorale. Qualcuno viene da te e ti dice che quel tale, in quel posto di quella città è uno che ha commesso o commette dei reati. E allora tu, e la tua tribù di appartenenza politica, con uno stuolo di agenti di pubblica sicurezza e una folta pattuglia di giornalisti ti rechi sul posto.

Gozzovigliando come un bambino con la Nutella ti avvii alla carriera di sceriffo della Contea, citofonando a casa di qualcuno. In cui ti risponde un minorenne accusato da una delatrice di essere uno spacciatore. Con genitori spacciatori. È l’ultima frontiera del politico pistolero. In barba a qualunque legge, ci si sente in diritto, a cagione di una pubblica richiesta di uomo forte, di adottare semplificazioni comportamentali che violino il diritto alla tutela e al rispetto della persona. La quale persona, se commette un reato deve essere arrestato dalle forze di pubblica sicurezza. Condotta davanti ad un giudice, giudicato se in dovere di andare in giudizio (perché non sempre il luogo a procedere è automatico, si chiamano diritti di garanzia del cittadino) e solo poi eventualmente giudicato dopo tre gradi di giudizio. Invece l’ultima frontiera è l’oltraggio alla persona, all’essere umano. Che differenza c’è tra coloro che bussando nel nome delle leggi razziali arrestavano chiunque fosse ebreo e li portavano nei campi di sterminio e chi invece nel nome del diritto a fare campagna elettorale mette alla pubblica gogna una famiglia, e un minorenne in particolare, che ha la sola colpa di trovarsi a casa sua e di esservi arrivato dopo aver abbandonato il proprio paese d’origine? Che per una beffa del destino, nel caso di specie, è la Tunisia. Lo stesso Paese in cui Bettino Craxi è andato a morire. Da esule, ha detto lui, da pregiudicato latitante ha detto il Pm Di Pietro, dopo sentenza passata in giudicato. Per i leghisti però, che corrono dietro alla legge solo quando gli fa comodo, Craxi va riabilitato. E il minorenne tunisino cacciato di casa. Due pesi e due misure. Forti con i deboli. E deboli con i forti. La solita marmaglia dell’olio di ricino.

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