La lunga fila di chi ha fame

Si sono messi in fila già quindici anni fa. Solo che lungo quel serpentone si riconoscevano soprattutto immigrati, donne, e persone anziane. E lungo quella direttrice ci stavano forse due o trecento persone. Quindici anni più tardi sono in migliaia. Tra loro ci sono i volti emaciati  e smarriti di tanti italiani. Sono uomini e donne, sono dipendenti che hanno perso il lavoro, sono professionisti e piccoli imprenditori finiti sul lastrico perché le loro attività è stata bloccata dal governo e non ristorata, se non con una mancia di facciata, che è servita forse a pagare una bolletta ma non certo la gestione di un ristorante, di un negozio o di un bar.

È l’Italia che affonda lentamente tra il disinteresse della maggioranza la quale guarda in casa propria e si affaccia oggi al balcone non più  per dire che “andrà  tutto bene” ma per fare il gesto dell’ombrello alla sfiga imperante. Oggi la disperazione porta a voltarsi dall’altra parte, a guardare altrove quando la povertà ti guarda negli occhi. Al contrario, chi scivola verso il basso, chi ha visto il proprio ascensore sociale scendere al piano – 1, trova la sola algida e cinica compagnia dei giornalisti che dal dolore possono speculare per le loro frattaglie addolorate da proporre in ora da pranzo e da servire come piatto freddo sul palcoscenico della disperazione che per qualcuno fa audience e soprattutto incassi: la pubblicità  vive della disperazione e dei sogni di chi la disperazione la indossa come un vestito indossato come una camicia di forza.

 

Le file a Pane Quotidiano continuano, come sempre. E sono sempre più lunghe. Sono il rantolo del moderno capitalismo che si annoia ad ascoltare chi parla di giustizia sociale e di uguaglianza. Soprattutto quando si è seduti sulla propria amaca nel giornale in cui si scrive, da cui pontificare con il portafoglio pieno:  il miglior modo di spendere il proprio tempo, ai tempi della peste.

La speculazione umana è il più grande affare. La povertà resta il modo migliore per arricchire una ristretta oligarchia di ricchi. Che storia, la Storia, ragazzi.