“Un altro lockdown per me è la morte”

Sono passate da poco le 12.00 di un giorno settimanale di scuola. In un webinar con un gruppo di studenti, che per l’occasione ci hanno ospitato nella loro aula virtuale, a Milano, presso l’Istituto Manzoni, si sta parlando d’informazione e Covid.

Ovvero del più grande scandalo che ha colpito l’Italia negli ultimi mesi: la totale disinformazione da parte del mainstream. Le bugie sulla malattia, le bugie sui tamponi,  poi sui vaccini, quindi sulle terapie domiciliari e sull’uso di uno schema terapeutico condiviso. È stato tuttavia durante questa importante occasione d’incontro che è arrivata la brutta notizia: l’Italia ha deciso di nuovo di adottare le zone rosse e dunque il lockdown. Proprio dagli studenti, la cui partecipazione è stata più fiacca rispetto agli anni precedenti a causa della distanza provocata dal Covid, è arrivata la dichiarazione di “sentirsi morire” sentendosi privati in modo definitivo dell’ossigeno per vivere. La vita. Le relazioni sociali, i rapporti umani.

La sensazione che si respira stando accanto a loro, malgrado la distanza provocata dalla tecnologia, è che siano arrivati ad un livello di saturazione insostenibile. La loro vita privata, il contatto umano, lo sviluppo delle relazioni sociali, sono state piegate alle ragioni di un terrorismo mediatico diffuso a piene mani, che li sta condannando all’esercizio di un isolamento non umano e a fronte di numeri che nel loro complesso sono ancora sostanzialmente bassi.  Meno di 3000 persone in terapia intensiva rispetto alle 8.000 terapie disponibili, poco più  di 350.000 positivi rispetto agli oltre 3.000.000 di persone complessivamente colpite, la gran parte delle quali ormai guarita. Malgrado il rapporto dei malati sia di 5 su 100, e il tasso di mortalità  sia pari a 0,5 ogni 100, abbiamo davanti lo spettro di un’angoscia collettiva sollecitata e alimentata che sta logorando un’intera generazione. Sballottata nel volgere di poche settimane da un ampio e diffuso benessere, ad una cultura della morte.

È la ragione di una partecipazione reale e fortemente sentita che ha assolto alla sua funzione: far pensare. Allo stesso modo costituisce un termometro dello stato emozionale del momento. Soprattutto dei più giovani. Soprattutto dei meno tutelati psicologicamente alla gestione dello stress. È quello che rimane. Un senso d’incompiuto che obbliga ad interrogarci: come recupereremo  questa parte di generazione colpita nel profondo?