Arrivato in Italia, ho capito era meglio controllare la busta paga

Si chiama Issan, viene dall’Uganda ed è arrivato in Italia nel 2010. Oggi, dieci anni più tardi, è davanti all’Hotel Gallia, il più ricco ed opulento degli alberghi del capoluogo lombardo, a protestare. Perché il Gallia lo ha mandato via, o meglio: non sarà rinnovato l’appalto dato in outsourcing all’impresa che guida il destino della sua vita.

Issan racconta di sé l’italianissima consuetudine di non fidarsi dei suoi interlocutori professionali, ovvero le aziende che gli hanno offerto un lavoro. “Ho capito sin da subito. appena dopo il mio arrivo, che mese per mese la mia busta paga dovevo farla controllare.” Con la manifestazione di oggi invece, Issan ha a che fare perché è uno degli 80 in cassa integrazione che, mi dice Stefano Scolari della Confederazione Unitaria di Base, a breve finirà. E malgrado un po’ di ripresa ci sia stata, l’albergo non ha rinnovato il contratto a nessuno degli 80, che infatti non sono stati richiamati. “Cosi finita la cassa verranno mandati tutti a casa” mi dice il rappresentante sindacale. Una condizione diffusa che colpisce ancora più duramente le donne. Naturalmente nessuno dell’albergo è sceso a parlare con loro. Sono per la gran parte stranieri e per la gran parte donne. Anche la responsabile dell’albergo che si è occupata delle ragazze quando erano al lavoro, pare sia una donna. “Lai non scende, mi dice uno manifestanti, ma farebbe meglio a farlo e a parlare con noi. Quando ci avranno mandato via, potrebbe toccare proprio a lei”