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“La scuola diventerà un reparto di malattie infettive?”

La domanda l’ha fatta in un post su Facebook il Dott. Stefano Manera, medico chirurgo che ha lavorato all’ospedale di Bergamo durante la pandemia di Covid.

Dopo aver partecipato alla riunione scolastica all’interno della scuola cui accederanno i suoi due bambini piccoli, il medico si è interrogato in questo senso. Ecco cosa ha scritto:

“I bambini, compresi quelli che entrano in prima elementare, non potranno essere accompagnati dai genitori all’interno della scuola, ma dovranno essere rigorosamente lasciati all’ingresso del plesso scolastico.

I bambini saranno seduti ai banchi ad un metro di distanza, due dalla maestra, senza mascherina se non si muovono, con la mascherina quando si alzano.
Sulle mascherine stiamo valutando come agire in maniera efficace.

I fazzolettini dovranno essere gettati in appositi contenitori.

Il materiale didattico sarà esclusivamente ad uso personale: vietato scambiarsi o prestare le cose.
Ogni giorno dovrà essere riportato a casa.

Tutte le superfici dovranno essere sanificate con prodotti di cui esigerò le schede tecniche, compresi i gel idroalcolici che ho già detto NON essere adatti (né utilizzabili) da bambini in quanto molto tossici.

Le finestre dovranno essere aperte ogni ora, anche in caso di pioggia.

La ricreazione sarà un momento critico: non si sa bene come gestirla, impossibile comunque scambi di merende.
Voglio davvero vedere come faranno coi giochi di gruppo, elemento naturale e vitale a quell’età.

Le attività motorie, svolte senza mascherina, dovranno contemplere le distanze, ma saranno comunque banditi sport di squadra, gruppo e contatto.

In tutto questo mi chiedo come faranno a gestire i bambini ADHD, per non parlare di quelli con la 104.

Le maestre non potranno soffiare il naso ai più piccoli, né abbracciarli o consolarli se piangono.

Ai compleanni vietato portare torte e bibite (sebbene confenzionate) dall’esterno.
“Ma tranquilli, i compleanni li festeggeremo lo stesso”.

E’ stata istituita la saletta Covid, dove, in caso di sintomi sospetti, che poi sono gli stessi di una comune influenza, l’alunno sarà condotto, in attesa che i genitori vengano a prenderlo.

Vi saranno percorsi, cartelli, segnaletiche, tutto nel più rigido controllo con le stesse logiche demenziali che da 20 anni regolano gli aeroporti.

L’unico genitore, dei 53 presenti, a muovere delle critiche sono stato io.


Una mamma era preoccupata circa il fatto che i bambini non potessero scambiarsi le caramelle, questo il livello.

In un periodo come questo, nemmeno un’ipotesi di un progetto condiviso su prevenzione e importanza della stessa.”

È certamente difficile conciliare istanze tra di loro molto diverse, e leggendo quanto scrive il Dott. Manera si comprende la legittima apprensione di sapere i propri figli costretti dentro un reticolo di regole ai limiti dell’impossibile. È altrettanto vero che un qualunque genitore potrebbe obiettare che per la salute di suo figlio accetterebbe anche di mettergli manette e museruola, se questo garantisse la sua incolumità.

In quel momento m’è tornato alla mente i racconti dei nostri nonni durante la guerra. Quando si faceva la fame, quando uscire per strada significa esporsi ai rastrellamenti dei nazifascisti che picchiavano e uccidevano donne vecchi e bambini. Quando prendere un treno o andare a scuola, a Milano a Gorla c’è una scuola a ricordarlo, poteva comportare il rischio di morire a causa di un bombardamento. Intere generazioni hanno convissuto con la paura della morte. Questa generazione, ne ha una tale paura, da averla quasi eliminata dal proprio vocabolario e dalla propria mente.

Invece il punto è proprio quello: dobbiamo cominciare a riflettere sul senso della vita e della morte. Perché le due cose sono l’una parte dell’altra. E non possono essere eliminate o eluse