Covid, scuola dimenticata

Malgrado l’evidenza empirica c’è una parte del Paese che non s’arrende.

Il virus Covid-19, non miete più vittime in serie come a Marzo e ad Aprile. Non ha più la stessa carica virale, e quindi quando si parla di contagi si parla di contagi leggeri. E chi è positivo, non è malato. E spesso neppure in grado di contagiare altri. Essere positivi al Covid, non significa essere malati e in molti casi neppure essere in grado di contagiare altre persone.

Avere avuto il Covid a Marzo significava essere vittime di una coaugulazione intravascolare disseminata, a causa di una iperstimolazione delle citochine. I medici, grazie alle autopsie, hanno quindi capito che l’iperventilazione polmonare non serviva e in molti casi può aver nociuto a chi s’era ammalato tanto da poterne avere causato il decesso. Il virus, s’è compreso, si è distribuito su tre fasi: dalla meno acuta alla più acuta. Nella prima fase i sintomi sono simili a quelli di una influenza. In seguito, fase due, peggiorano. In fase tre non si riesce a respirare. In prima e seconda fase, ci hanno detto i medici, l’idrossiclorichina, il desametasone, l’eparina, si sono dimostrati strumenti efficienti per guarire i pazienti. Chi s’è presentato in terza fase, cioè in quella acuta, è stato tracheostomizzato. E non sempre si è riusciti a salvare le persone. Cosa ci dice l’esperienza medica, quindi? Che dalla terza settimana di Aprile, compresi gli effetti del virus, grazie all’abilità dei nostri medici, i decessi sono diminuiti. Sono crollati i ricoveri e gli ospedalizzati in terapia intensiva. La scienza statistica ci aiuta: grafici alla mano, i numeri dicono che la pandemia in Italia non c’entra più. C’è un’endemia, ovvero una presenza del virus, tenuta sotto controllo. I dati, elaborati dall’Istituto Piepoli, ci dicono dunque che l’emergenza è conclusa. Ce lo avevano detto anche il Dott. Manera Stefano ( che ha operato al San Giovanni XXIII di Bergamo) e il Prof Zangrillo, come il Premio Nobel Giulio Tarro. Persino il ministro Speranza, quest’oggi, ha detto che l’emergenza è finita e siamo fuori dalla tempesta. Ciò malgrado continua il disperato tentativo d’inoculare paura, e non coscienza, tra gli italiani. Spaventandoli non appena possibile, allarmandoli di potenziali focolai, a Cremona ad esempio o in un quartiere di Roma. Tentativi per scoraggiare una ripresa della normalità senza dispositivi di protezione, anch’essi indicati come sostanzialmente inutili oggi all’aria aperta o in macchina, utili semmai in spazi chiusi o dove c’è una forte concentrazione di gente.

Per la ripresa della scuola in particolare non si registra alcuna forma d’intervento per il ripristino della normalità. Anzi, in una complessiva condizione di opacità, le istituzioni ci fanno sapere che i banchi verranno tenuti separati, con divisori di Plexiglas, per consentire forse, con orari scaglionati il rientro a scuola, senza garantire il tempo pieno. Anche in questo caso senza considerare che la popolazione più giovane sta bene e che è andata esente dal contrarre la malattia. Tranne qualche rara eccezione, che sui giornali diventa normalità. Paura, paura, paura. A piene mani, viene dispensata. Dimenticando che le verifiche empiriche confutano la tesi di pericolo per i più giovani e confermano il rischio di danneggiare gli studenti. A scuola bisognerebbe ritornare subito. E invece malgrado ogni condizione confuti questo pericolo, ci troviamo nella condizione assurda di non sapere neppure se i ragazzi potranno tornare a scuola. I professori però li paghiamo regolarmente. That’s all, falks