Cronaca di un giorno di ordinaria Lombardia

Sono le 12.30 di mercoledì 20 maggio 2020. Fuori c’è un caldo estivo ed già sudo come in pieno Luglio. Squilla il cellulare.

-Ciao Max, sono Carlo –

Il portavoce dell’Assessore al welfare Giulio Gallera mi chiama.
Vuole informarmi che si stanno occupando dei casi che ho trattato nel servizio pubblicato ieri. Cioè della ragazza della Regione Lombardia, Stefania, e di quella che il 9 Aprile scorso aveva pubblicato un video diventato virale in cui dichiarava di avere diagnosticato un Covid ma di non riuscire a fare il tampone. Lei si chiama Veronica. Tenete a mente i nomi. Quello che sto per raccontarvi ha, almeno per me che faccio il giornalista da tanti anni, dell’incredibile.

Carlo al telefono mi dice che il caso di Veronica è risolto. Hanno provveduto, mi dice. Allora risento Veronica. La quale mi conferma a distanza di un mese e mezzo di non aver ricevuto alcuna chiamata dalla Regione. Anzi: mi manda della documentazione da cui si evince che la Regione Lombardia avendo lei domicilio ma non residenza a Milano, non le ha ancora assegnato un medico. Le chiede un mucchio di documenti per fargliene avere uno. Questo in piena emergenza Covid e dopo aver dichiarato di avere tutti i sintomi del virus e di potere potenzialmente circolare per strada, avendo conclusa la quarantena. È lei a fare da medico a se stessa: è rimasta a casa nella speranza che qualcuno la chiamasse. Veronica l’ho vista solo in video, ma il 12 Aprile scorso quel video l’avevo mandato sul cellulare dell’Assessore Gallera affinché intervenisse subito per aiutare questa ragazza.

Passa mezz’ora. Chiamo Carlo. È un uomo molto gentile, Carlo Cassani. Uno di quelli con cui si fraternizza subito. Empatico. Allegro. Non me ne vorrà se racconto che quel leggero sovrappeso che reca in dote, lo rende se possibile ancora più simpatico.

Gli racconto che Veronica non ha sentito proprio nessuno. E che, rassegnata, ha deciso di lasciare Milano. Sta per tornare a Roma, trasferendosi di nuovo lì. “Finito il trasloco mi farò fare tutti gli esami di controllo”, mi scrive su messanger

Sento dalle sue parole scritte, un senso di rassegnazione. Come se avesse perso una partita importante con la vita. Le scrivo subito: “Non finisce qui, le dico, non intendo passare sopra la tua storia. Tu hai avuto coraggio. Questa situazione è inaccettabile.”

Carlo al telefono mi conferma che è stato un errore: ha confuso Veronica con un’altra persona e forse un altro video. Ma mi dice anche: “Max noi vogliamo aiutare tutti. Dimmi quali sono i casi di cui sei a conoscenza che hanno bisogno di cure e noi interveniamo, subito”.

-Carlo, ma sei impazzito? Sai quanta gente mi sta scrivendo in queste ore? –

-Non importa, Max, mi dice Carlo. Qualunque caso tu conosca e voglia sottoporre alla mia attenzione, faccio(amo) intervenire subito qualcuno –

Prima di andare avanti, due osservazioni.

Carlo è un giornalista. Fa il portavoce dell’Assessore. È uno dello staff. Non è tenuto ad esercitare un ruolo di monitoraggio dei casi presunti di Covid.

Seconda osservazione: non dovrebbe essere lui a chiamare i potenziali malati.

Metto giù e risento via messanger Veronica. Mi dice che l’ha contattata Carlo Cassani. Mi ringrazia. Dice che è un miracolo. Che non ci sperava più. Le auguro tanta fortuna e le chiedo di tenermi informato di tutto quanto accadrà.

Chiudo la conversazione e mi arriva un messaggio di Stefania, la ragazza che lavora per Regione Lombardia. È stata chiamata dall’Ats. Domani alle 7.20 le fanno il tampone.

Sono preso da un sacro furore. Come se mi accorgessi che s’è aperto un varco e si possono aiutare, in una finestra di tempo, le persone che hanno bisogno.

Riprendo il pezzo pubblicato ieri. C’è una ragazza, Giulia Papa, che in un commento mi ha scritto di lavorare per una cooperativa che assiste i malati di Covid. Sono senza dispositivi di protezione e nessuna delle ragazze della cooperativa ha mai fatto un tampone. Le mando un messaggio. Le lascio il cellulare e le chiedo di chiamarmi.

Non passa un minuto. È Giulia. È un fiume in piena. Ci parliamo come se ci conoscessimo da sempre. Non ci siamo mai visti. Mi racconta cose incredibili. La sua cooperativa è di Legnano. Venti chilometri a dir tanto dal Palazzo della Regione Lombardia.

“Noi siamo quelli che assistono i malati Covid a casa. Sai quei dati che ogni giorno fornisce la protezione civile? Hai presente quei 60.000 pazienti che sono seguiti a domicilio? Ecco noi curiamo quelle persone. Perché hanno dato i dispositivi di protezione agli infermieri, ai medici degli ospedali e delle RSA e a noi no? Siamo figli di un Dio minore? Hai presente quanta carica virale c’è nelle case in cui ci sono più Covid? Ma tu lo sai che noi non abbiamo tute idrorepellenti, quelle bianche, che dovrebbero garantirci da ogni contatto con i pazienti? Sai che ce le siamo fatte prestare dalle pompe funebri? Io ho la mia, e dopo averla usata la metto in lavatrice a lavare. Ma non è una tuta sterilizzata come quelle che hanno i medici”
Chiede aiuto, Giulia.
Metto giù. E scrivo a Carlo. “È urgente, senti subito questa ragazza e la sua cooperativa”.

-Ok, Max” – è la sua pronta risposta.

Nel frattempo lo riempio di altri nomi. Questa volta sono di Brescia. Un imprenditore, Marco, con il padre ricoverato in terapia intensiva sei settimane a causa del Coronavirus. Ora a casa. Lui non lo vede da due mesi e mezzo perché convinto di aver fatto anche lui il Covid. Non vuole andare dal padre con il timore di poterlo contagiare ancora. Ha chiesto di fare il tampone. Ma l’Ats di Rovato è impossibile da raggiungere telefonicamente. Da un mese.

Altro giro: un’imprenditrice che ha un centro estetico. Teme di aver fatto il Covid. Vorrebbe fare il tampone. Per non contagiare le sue clienti. Anche nel suo caso: non riesce a fare il tampone.

Tutti nominativi girati all’ufficio stampa dell’Assessore Gallera.

È evidente che qualcosa non quadra. Cosa sta succedendo in Regione Lombardia? Cosa sta accadendo all’assessorato al Welfare? Come può essere che uno screening, una mappatura dei malati e il loro contatto, sia fatto fare ad un giornalista e non a una struttura preposta che dovrebbe essere composta da decine di persone che lavorando 18 ore al giorno, parlino con le Ats per verificare che siano operative e capaci di assolvere alla domanda di assistenza che arriva dal territorio? Assessore Gallera, glielo dico senza acredine e pregiudizio. Oggi, anzi, una persona, Stefania Beschi, mi ha scritto di essersi rivolta al vostro assessorato e di essere stata aiutata, in modo tempestivo.

È tuttavia un caso raro. Moltissime persone sono abbandonate a loro stesse. Una su tutte: Alessandra Croce. Mi ha scritto dopo aver letto il pezzo di ieri. Sua madre è una terminale oncologica. Deve rimuovere un catetere e le avevano chiesto di andare lei, in reparto, prima dell’operazione, a fare il tampone, in questi casi obbligatori. Ma per questa donna, anziana, malata e piena di dolori, andare in quelle condizioni in ospedale a farsi togliere il catetere è una sofferenza indicibile. Ma la Regione le chiedeva di andare lei a farsi fare il tampone. La figlia, Alessandra, s’è opposta. Questa sera mi ha scritto: l’ospedale ha compreso il problema (auxologixo di Milano)
Le faranno il tampone loro il giorno dell’operazione, con esito quasi immediato. Mi ha detto oggi Alessandra: “Ho potuto assistere mia madre ed essendo benestante posso mettere mano al portafogli. Ma chi i soldi non li ha, come cazzo fa?”

Assessore Gallera, Governatore Fontana, Presidente Fermi, gentili membri del consiglio regionale: giro a voi questa domanda.