Fischia il vento, ma il razzismo non c’entra

Si sono ritrovati in migliaia davanti al memoriale della Shoah a Milano in difesa di Liliana Segre. Erano oltre cinquemila persone che neppure una copiosa pioggia ha trattenuto dal portare il proprio omaggio e la propria vicinanza alla senatrice a vita vittima dell’odio nazista in gioventù e adesso dell’imbecillità dei leoni da tastiera e di qualche neofascista che ha pensato bene di cercare visibilità speculando sul dolore di una donna anziana.

Milano ha voluto stringersi attorno alla signora Segre e mandarle un segnale chiaro: “Siamo noi la tua scorta, ci pensiamo noi a proteggerti.” In fondo la città è medaglia d’oro per la Resistenza. Eppure ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni, in queste settimane e in questi mesi, non è il rigurgito del fascismo, ma l’effetto di un lungo lavorio sottotraccia posto in essere da forze politiche che hanno creato un clima infame. È L’idea cioè che la complessità sociale, la difficile convivenza con chi arrivando da altri Paesi scopre le difficoltà del capitalismo, trovandosi senza lavoro e senza una casa, spesso senza un amico, e vivendo un’identità che va in frantumi, mentre dall’esterno molti ti indicano anche come la causa del loro disagio sia da addebitare a qualcuno di preciso. Non ha importanza che i contorni di questa identità inizialmente siano vaghi. Sarà l’opinione pubblica a restringere con il tempo il cerchio dell’odio. Allora è così che il nemico poco alla volta assume un’identità precisa: il comunista, il gay, il musulmano, l’ebreo, la persona di colore.

È partito da qui, da questa costante alienazione del “diverso”, una diversità soggettivizzata e colpevolizzata, il conto alla rovescia verso lo scontro sociale, che poi è diventato, come sempre, odio collettivo e quindi guerriglia di parole e quindi ancora rancore personale: verso una razza, un’etnia, un genere, una religione. Perché la complessità determina sempre la necessità che sia individuato un colpevole, un responsabile, un capro espiatorio su cui scaricare la responsabilità di questo disagio.

S’è perduto il senso dell’onore e dell’amore, della dimensione umana, del rispetto per l’altro da noi, per timore di affrontare i nostri stessi fantasmi. L’angoscia quotidiana di un mondo che corre per produrre una ricchezza che non serve ed inquina, anziché tutelare quello che ancora possiede: i fiumi, i boschi, il mare, il cielo. Ci si avventa sulla realtà con la volontà di ricostruirla a somiglianza di un’ideale di consumo, e non di appartenenza. Cosi perdiamo il contatto con noi stessi: lì si annida la speculazione politica che alimenta le nostre paure e condanna “i nemici del popolo”. Ogni realtà ha i suoi. A Hong kong sono i giovani in piazza, in Cile e Bolivia chi si scaglia contro i militari che con un golpe hanno preso il potere. A Milano, oggi, contro gli “ebrei” e poi i “musulmani” e poi i “gay” e poi i “rossi”.

La stupidità umana è l’unica linea di continuità nei millenni