L’era digitale, il tempo dell’inquietudine

Torniamo a parlare della psicologia della vita quotidiana, e della solitudine di quanti vivono la vita immersi in una dimensione di povertà emotiva completamente cooptati dal rapporto con il proprio smartphone.

In questa sezione, di una una lunga lectio magistralis della professoressa Manuela Ponti, psicoterapeuta, si illustrano le frontiere della stupidità adolescenziale contemporanea e si declina la rabbia che nasce da questa condizione. Una lezione da ascoltare a proposito di dissoluzione delle famiglie e di perdita dell’identità.

Se ne fa un gran parlare d’identità, ma ciò che si raccoglie, specie in politica, è  un totale affrancamento dall’ipotesi di elaborare razionalmente ciò che la voracità individuale è capace di fare. Paradigma perfetto sono le immagini di ministri completamente cooptati dal piacere narcisistico di apparire (ha anche un nome che proviene dagli Usa: the beast) da non comprendere né saper contenere le istanze che provengono dall’inconscio, ormai vittima di un’ incontenibile ubris.


Dentro questo meccanismo che non è politico ma umano, troppo umano, si cela la definizione di una regressione culturale di cui la Professoressa Ponti, ermeneuta di una contemporaneità impazzita, altro non fa che ammonire: state attenti, datevi un limite, imparate ad ascoltare e soprattutto ad osservare.

In ultima istanza quello che viene dispiegato, sul piano intellettuale, è  una specie di scialuppa di salvataggio ai naviganti di un ipotetico Titanic che sta andando a schiantarsi: il ricorso alla coscienza, attraverso un viaggio razionale dentro di sé al fine di salvaguardare noi stessi. Non è affatto detto si sia ancora in tempo, ma resta il diritto di provarci. Non siamo ancora arrivati al baratro, ma al suo ciglio. In quest’ordalia  di immagini e di piacere virtuale che è un male essenziale, concreto, possiamo ancora reperire dentro di noi le risposte per salvarci.

Attraverso la mente, l’intelletto e un po’ di dialogo. E pensare che c’era il pensiero, verrebbe da dire pensando a Giorgio Gaber