Tra molestie e maschilismo, “tu lascia aperta la porta…”

È solo l’ultima delle denunce per molestie. Il servizio pubblicato oggi sul Corriere della Sera racconta con dovizia di particolari la (sotto)cultura italiana nella relazione con il femminile.

Forse è arrivato davvero il momento di farci tutti un esame di coscienza. Perché la molestia è diventata , come ben racconta Manlia Andreotti campionessa di ciclismo che ha deciso di rinunciare alla Olimpiadi perché non se la sente più di frequentare un ambiente che tratta le donne non come atlete ma come potenziali prede sessuali, una consuetudine intollerabile.

Manlia descrive, nell’intervista che vi suggeriamo di leggere, una delle condizioni più frequenti in cui viene a trovarsi una donna in ambiti che dovrebbero essere professionali. Commenti a sfondo sessuale, battute, ammiccamenti, tentativi più o meno rilevanti di seduzione verso ragazze a volte persino minorenni. La campionessa italiana racconta di sguardi fuori luogo, di massaggiatori che dovrebbero prendersi cura della muscolatura di professioniste della corsa, trattate invece come soggetti erotizzati cui ci si rivolge dicendo: “spogliati”, con quel tono doppiogiochista di chi mentre si prepara a massaggiarti, cerca le parti intime o massaggia solo i glutei, come racconta la stessa Andreotti, che per questo aveva chiesto una massaggiatrice donna.

Alla fine, per amore dello sport, e di te stessa che primeggi con sacrifici enormi nello sport, nel caso di Manlia, ma in tante diverse discipline professionali nel caso di milioni di altre donne, si stipula un tacito patto: non dire nulla. Non denunciare, anche per l’imbarazzo di dover descrivere atteggiamenti ambigui, che l’uomo sa essere proditori colpi alla fiducia tra professionisti, in effettivi atti di molestia che poi materialmente non lo sono; perché colpiscono l’anima di una donna e la mettono nella condizine di essere imbarazzata per quel modo di guardarla e di toccarla, che l’uomo non riconosce mai come molestia e da cui la stessa donna non sa come proteggersi rischiando di sentirsi dire che è lei che è una “puttana”. E non lui, invece, come un porco mascalzone che abusando del suo ruolo tende a mettere in difficoltà una donna che vorrebbe fare il suo lavoro e che se proprio deve essere corteggiata preferirebbe avvenisse in modo trasparente, leale e comunque fuori dal rapporto professionale. Perché questo è quello che ferisce una donna: vuoi esercitare un ruolo sociale, vuoi fare l’insegnante, la formatrice, il medico, l’attrice, la giornalista, la commessa, ed invece spesso la tua professionalità si misura sulla base di una sfera che non c’entra nulla con la tua formazione, ma con la tua avvenenza e la tua disponibilità a concederti in pasto ai desideri del maschio. Un esame di coscienza occorre lo facciano tutti gli uomini, essenzialmente patetici correi di un diffuso onanismo pornografico, figlio di una sottocultura d’impotenza sessuale e mentale: infatti molti di questi devono assumere sostanze stupefacenti per avere quello che un normale metalmeccanico ottiene dopo otto ore di catena di montaggio.

E poi ci sono proprio le donne, le madri, che questa sottocultura di onnipotenza maschile l’alimentano con la perenne difesa del loro “cucciolo”. Ben rappresentato tra l’altro nell’ultimo lungometraggio di Checco Zalone. La rivoluzione maschile parte dalle donne, dalle culle. Insegnate ai vostri figli maschi che la differenza tra uomo e donna non comporta l’esercizio alla discriminazione