Caporalato, una piaga non ancora vinta

Sfida al caporalato. Li trovi alle cinque del mattino nei pressi di Piazzale Loreto. Sono quasi tutti stranieri: marocchini, egiziani, somali, ma anche albanesi, serbi, rumeni.

Hanno un’età compresa tra la maggiore età ed un massimo di cinquant’anni. I caporali li caricano sui loro mezzi e li portano direttamente in cantiere, sul luogo di lavoro. In genere sono aree in cui si costruiscono appartamenti, oppure capannoni oppure uffici. Quando scattano i controlli dell’ispettorato del lavoro, molti si danno alla fuga, per non farsi beccare.

Sono tutti pagati alla giornata ed i prezzi ovviamente variano: sono tuttavia concordemente e naturalmente tutti in nero. È la manovalanza di cui non si parla mai volentieri, quella straniera. Sfruttata da imprenditori senza scrupoli che dal lavoro in nero ci guadagnano comunque un sacco di soldi. Quando più ci aggiungi che pagano pochissimo, il lauto incasso diventa doppio

I ragazzi che si prestano a questo sfruttamento disumano lo fanno per l’unica ragione di avere bisogno di qualche soldo per sopravvivere alla precarietà diffusa. Non bastano le sigle sindacali, non bastano le ispezioni dell’Inps. Non bastano le leggi, le regole, le norme, le direttive. Non bastano neppure le campagne mediatiche.

Eppure è proprio partendo dalla coscienza di una classe di uomini e donne trattati come schiavi, all’ingresso del terzo millennio, che si può ripartire. Dalla coscienza che per cambiare occorre essere insieme, dentro una rinnovata consapevolezza. Ci sono ancora, quei ragazzi. Ci sono ogni mattina, ma lievita anche il senso del diritto in ognuno di loro. È il corso della storia a dire che anche questo legno storto, si raddrizzerà. Come il vento piega anche la più dura delle resistenze, cosi la determinazione nel riconoscere l’uguaglianza come valore prenderà il sopravvento. Perché la dignità dell’uomo ha un suo destino: quella di essere riconosciuta, contro qualunque baratto al ribasso

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