“Mia moglie aveva un debole per Alan Sorrenti”.
È uno dei dialoghi surreali di un bellissimo film: Pane e Tulipani. Lui, Bruno Ganz, aspirante suicida, si rivolge a lei, Licia Maglietta, casalinga di Pescara, in fuga dal classico marito meridionale e possessivo naturalmente mammone.
Lui sposato e divorziato ha un figlio: Alan. La madre gli ha dato questo nome perché Alan Sorrenti negli anni 70 scrisse una canzone “Figli delle stelle”, che è stata e continua ad essere una di quelle canzoni in grado di raccontare una generazione. Fatta di sogni, di desideri, di auspici. È la generazione di fine anni 70 quando la deriva politica, imboccata la pista della lotta armata, provoca una crisi di rigetto, un senso di nausea nell’Italia tutta. Devono ancora arrivare il delitto Moro, omicidio di Stato, e la bomba alla stazione di Bologna, terrorismo di Stato anch’esso, a squassare la già precaria condizione nazionale. Alan Sorrenti è il primo vagito di rigetto istituzionale, l’orgogliosa replica reazionaria alla controrivoluzione armata imposta dal terrorismo di matrice brigatista che si mescola a tante altre cose, in Italia: al terrorismo nero, alle bombe, ai servizi segreti deviati, alla massoneria fino ai più alti vertici dello Stato e persino del Vaticano. Alan Sorrenti è l’anima candida dell’italiano medio: “Non c’è tempo di fermare questa corsa senza fine che ci sta portando via, ed il vento spegnerà il fuoco che si accende quando sono in te….”
Facciamo l’amore, non la guerra insomma, se vuoi essere felice prova a pensare alla passione d’amore per la donna che ti fa perdere la testa, e non perdere la testa a fare la guerra contro lo Stato. È la lotta contro il “cattivismo”, diremmo con ermeneutica contemporanea, rispetto allo speculare fenomeno odierno, per cui sotto attacco è il buonismo.
Oggi se attacchi uno striscione con scritto “restiamo umani”, vestito come faceva Don Diego de la Vega, alias Zorro, dentro il quale in realtà si nasconde un sindacalista dell’Usb, allora sei un patetico buonista mondialista, che sta dalla parte delle finanziarie internazionali e delle multinazionali bancarie.
Quindi vai con il pestaggio mediatico degli ultimi sbarcati. Anzi, meglio ancora andare a riprenderli mentre vivono nelle baracche o nelle case occupate. Gestite da mafia italiana.
E scaricare su di loro la rabbia oltranzista degli intolleranti che sono apprezzati cattivisti e non incalliti buonisti che finanziano le Ong oppure le appoggiano nelle loro sconsiderate azioni di salvataggio di potenziali terroristi giunti appunto con i barconi per farci un attentato contro.
Il tempo passa, non scema tuttavia la convinzione che l’uomo resta sempre nello stesso luogo in cui preserva la propria condizione. Dentro il narcisismo, sempre più patologico, e dentro la paura della libertà. Meglio dipendere da qualcosa, da un ideale, da una convinzione, che da adeguate domande su se stesso sul piano teleologico. È il bisogno dell’attaccamento che porta alla paura del distacco.