La pena come riabilitazione e non come afflizione

Lo hanno arrestato, dopo avergli pignorato ogni bene, quando ormai non contava più nulla e non aveva più alcun potere. Roberto Formigoni, ex Governatore della Regione Lombardia, è il primo politico cui si applica la nuova legge sulla corruzione chiamata “spazzacorrotti”. Nessun beneficio di legge, nessuna detenzione domiciliare malgrado i suoi 71 anni e malgrado fino a qualche mese fa la legge italiana riconoscesse che una persona anziana arrestata avesse diritto oltre che a una rieducazione, che è il fine della pena, anche a una tutela fisica, data l’età. È la cultura su cui si fonda la nostra giurisprudenza a sancire che l’esercizio di una misura cautelare, restrittiva delle libertà personali, non deve avere il fine di “vendicarsi” verso colui che ha commesso dei reati, ma quello di rieducarlo per tentarne il reinserimento nel contesto sociale. Per questo nel 1996 nasce l’istituto della “messa alla prova”, la stessa applicata a Silvio Berlusconi. Si offre l’opportunità ad un reo di scontare la propria pena servendo la comunità, occupandosi di chi soffre, garantendo a chi ha problemi una vicinanza umana e materiale offerta per riparare un torto commesso. La pena detentiva deve servire a rieducare, a riavvicinare la persona ad una vita e a comportamenti morali. L’esempio in questi anni è venuto da due istituti penitenziari proprio di Milano: il carcere di Bollate e quello di Opera, dove trovano alloggio i detenuti al 41 bis. Sono stati esempio di rieducazione del reo. Ad Opera sono stati aperti laboratori di lingue, una liuteria, un gruppo teatrale che ha poi portato in scena diverse opere. Un esempio di rieducazione e di reintegrazione, in cui ergastolani hanno riscoperto il senso della vita, facendo lunghi e dolorosi percorsi interiori in cui, grazie anche al supporto psicologico offerto dal professor Angelo Aparo e al suo gruppo della trasgressione, molti dei condannati sono diventati collaboratori dello Stato, andando nelle scuole ad intercettare quei ragazzi che vivono un disagio e che possono potenzialmente reiterare reati di tipo criminale associativo. L’arresto di Formigoni deve essere l’occasione per una riflessione sul senso della pena che uno Stato civile deve applicare. Lo Stato rieduca, lo Stato offre un esempio di solidarietà e vicinanza, lo Stato insegna il concetto di responsabilità. Lo Stato non si vendica, lo Stato non deve punire, non deve “non avere pietà” , perché questa è un’istanza da barbari. Oggi Formigoni entra in carcere perché il legislatore ha deciso che la pena non deve essere umana, ma punitiva e vendicativa e da applicarsi anche verso chi ha condizioni fisiche precarie, quali possono essere quelle di un uomo di 71 anni. Questo principio di uguaglianza nell’applicazione della pena dovrebbe valere per tutti: uomini politici e non. Di fronte alla legge tutti dovrebbero essere trattati allo stesso modo. Soprattutto davanti a chi ha violato la legge la pena dovrebbe avere una funzione riabilitativa. Non è il carcere in sé a rieducare: ma le funzioni di responsabilità che devono essere accordate alle persone che si sono macchiati di reati contro la collettività. Una classe politica degna di questo nome dovrebbe mettere in cima alla sua agenda legislativa il ripristino di una dimensione normativa umana, quale esercizio di filantropia, espressione più alta del concetto di politica.