Ci hanno raccontato che nel 1989 il Muro di Berlino è caduto. La cortina di ferro scomparsa insieme all’utopia comunista. In realtà a Dresda, capitale della Sassonia, paese che fu della Germania dell’Est, l’utopia che il mondo libero avesse finalmente trovato il suo sbocco e che la storia fosse arrivata alla sua fine, ha trovato il limite dato dalla globalizzazione. Aveva ragione Lavoisier quando diceva che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma. La Sassonia è diventata il paradigma della globalizzazione calata dall’alto. La trasformazione si è prodotta, è vero, ma per volontà della multinazionali, di oligarchie industriali che hanno piegato la volontà collettiva alle regole del mercato: basso costo del lavoro, alti profitti. Cosi venduta, la riunificazione della Germania post seconda guerra mondiale è stata veicolata come un moloch, un riferimento della storia figlia delle politiche tedesche. In realtà è stato il prologo del trionfo delle multinazionali e delle loro regole mondialiste, dove il capitale umano ha meno valore del danaro. Da qui nasce Alternative fur Deutscheland, ovvero la reazione estrema del nazionalismo, come rigetto ad una cultura mondialista che in nome del profitto piega i diritti delle persone, generando laddove possibile un melting pot di culture in cui il più debole, in genere il profugo straniero, viene cogentemente messo nella condizione di lavorare molto a condizioni salariali precarie: così nasce il dumping e poi l’invidia sociale. Cosi nella guerra tra poveri nasce la ricchezza dei pochi. Milano Positiva registra questa condizione sociale e storica rilevando che proprio la nostra città rappresenta un modello d’integrazione diverso. Certo: anche da noi esiste il caporalato e lo sfruttamento dello straniero, ma esistono anche gli anticorpi per difenderci da queste ineguaglianze, attraverso la coscienza sociale che il lavoro è il paradigma della dignità sociale. Certo: siamo attraversati da difficoltà e contraddizioni enormi, da una domanda di lavoro in eccesso rispetto all’offerta. Milano tuttavia ha ancora la forza di riconoscere la dignità degli stranieri che vi approdano, pur in condizioni di oggettiva difficoltà. Non abbiamo smarrito la coscienza del rispetto dell’immigrato, essendo da sempre Milano città di immigrazione. Non appaia un’aporia quanto andiamo sostenendo. Con tutte le sue difficoltà la città metropolitana di Milano, il suo capitale umano riesce ancora a conservarlo e in parte a proteggerlo. Un’utopia diversa, figlia della cultura che l’attraversa. Dall’illuminismo al risorgimento, il diritto passa da Milano