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Il 15 giugno scorso il Consiglio Regionale ha presentato una mozione d’urgenza per i minori affetti da disabilità gravissima. La domanda incaricava la Regione ad aumentare il budget per l’assistenza domiciliare di minori con disabilità gravissima (ADI). Inoltre richiedeva di dotare il servizio di una disciplina dedicata. Nella mozione si richiedeva di creare le condizioni per cui gli infermieri incaricati in questo ambito ricevano uno stipendio adeguato.

La mozione mirava a risolvere un problema secolare ed aggravato dalla pandemia: la carenza di infermieri che si recano nelle case per curare i minori disabili.

A causa del Coronavirus, la domanda di infermieri nei centri di vaccinazione è aumentata. Lo stipendio è ben superiore a quello che offerto per gli enti che si occupano di ADI minori. Alla mozione è seguita la delibera regionale del 4 ottobre, che ha aumentato il budget per i servizi socio-sanitari e le tariffe riconosciute da chi li eroga.

Il numero di minori affetti da disabilità gravissima non seguiti da infermieri è in aumento

Peccato però che per l’ADI il budget non possa tradursi in possibilità di assunzione del personale. Questo perchè il personale degli enti autorizzati non fa parte del settore pubblico. Ma questo non è tutto: nei casi dell’ADI minori, nessun aumento tariffario potrebbe essere attivato. Questo perchè il servizio, dal 2012 ad oggi, è rimasto di fatto sperimentale e non fa parte del tariffario nazionale. Nella Regione è stato aperto un tavolo di lavoro dedicato all’ADI ma finora non è stato fatto nulla che abbia davvero avuto un impatto sulla situazione. La domanda di infermieri indotta dalla campagna vaccinale per la terza dose ha esacerbato il problema e il numero di bambini non seguiti da infermieri è in aumento.

La riforma sanitaria lombarda, approvata in nome della territorialità: una speranza verso il cambiamento

Per il momento l’ADI minori è menzionata nei titoli del provvedimento ma non risulta più compresa nel passaggio dai principi alla loro realizzazione. Eppure, non c’è niente di più territoriale dell’assistenza a domicilio, non c’è niente di più territoriale dell’ aiutare chi non può muoversi poichè affetto di malattie molto gravi, di aiutare minori affetti da disabilità gravissima.

L’ augurio è che nel passaggio alla fase operativa della riforma della sanità ci sia posto anche per l’ADI minori.

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Disturbi alimentari tra i giovani in aumento con la pandemia https://www.milano-positiva.it/2021/12/10/disturbi-alimentari-tra-i-giovani-in-aumento-con-la-pandemia/ Fri, 10 Dec 2021 09:34:17 +0000 https://www.milano-positiva.it/?p=7090 Con  i disturbi alimentari tra i giovani non è sempre facile fare statistiche perché si tratta di una condizione abbastanza nascosta. Spesso l’attenzione è tardiva e purtroppo abbiamo difficoltà a […]]]>

Con  i disturbi alimentari tra i giovani non è sempre facile fare statistiche perché si tratta di una condizione abbastanza nascosta. Spesso l’attenzione è tardiva e purtroppo abbiamo difficoltà a cogliere in anticipo il disturbo.

Tuttavia, a causa dell’attuale emergenza sanitaria questa malattia -che già risulta essere in aumento da un paio di decenni- ha fatto un salto importante proprio in correlazione alla pandemia.

Perché la pandemia ha causato  l’incremento dei disturbi alimentari?

Le ragioni possono essere molteplici: alterazioni della vita quotidiana, l’isolamento sociale, una modifica dell’attività fisica e dell’alimentazione nei suoi ritmi, luoghi e consumi.
Stiamo assistendo ad un aumento dei disturbi del sonno e a una maggiore attenzione al cibo da parte dei più giovani.

La verità è che ai giovani è crollato il mondo adosso. La chiusura delle scuole, l’impossibilità di avere una vita sociale, la cancellazione delle attività sportive ed extrascolastiche ma anche il mancato contatto diretto con gli adulti di riferimento quanto i genitori hanno ripreso le attività lavorative, hanno avuto un pesante impatto sugli equilibri e sulla salute mentale dei giovani. Questo ha scombussolato il loro rapporto col cibo. Un evento particolarmente stressante, infatti, può portare allo sviluppo disturbi alimentari, specialmente nei ragazzi e nelle ragazze.

La famiglia come punto cardine per la lotta ai disturbo alimentari

Questa cosa è davvero impattante perché si parla spesso di disturbi alimentari tra i giovani, ma nella realtà c’è ancora molto da fare.

Regione Lombardia, per esempio, ha approvato a inizio anno una legge di riordino per la prevenzione e il contrasto dei disturbi del comportamento alimentare e il sostegno ai pazienti e alle loro famiglie. Un fatto molto positivo che però adesso necessita di essere attuata.

Quello che possiamo suggerire è di osservare tutti gli aspetti del benessere di un giovane. Se un ragazzo cambia atteggiamento, se si isola, se se aumentano certi bisogni di perfezionismo o di controllo allora bisogna essere vigili perché questi possono essere segnali di disagio precedenti ad un disturbo alimentare.

Bisogna ricordare però che è sempre un problema complesso per il quale non c’è una soluzione semplice. Grazie agli strumenti a disposizione delle famiglie però, i genitori hanno la capacità di poterli riconoscere e intervenire in maniera tempestiva.

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“Un altro lockdown per me è la morte” https://www.milano-positiva.it/2021/03/10/un-altro-lockdown-per-me-e-la-morte/ Wed, 10 Mar 2021 14:55:08 +0000 https://www.milano-positiva.it/?p=4735 Sono passate da poco le 12.00 di un giorno settimanale di scuola. In un webinar con un gruppo di studenti, che per l’occasione ci hanno ospitato nella loro aula virtuale, […]]]>

Sono passate da poco le 12.00 di un giorno settimanale di scuola. In un webinar con un gruppo di studenti, che per l’occasione ci hanno ospitato nella loro aula virtuale, a Milano, presso l’Istituto Manzoni, si sta parlando d’informazione e Covid.

Ovvero del più grande scandalo che ha colpito l’Italia negli ultimi mesi: la totale disinformazione da parte del mainstream. Le bugie sulla malattia, le bugie sui tamponi,  poi sui vaccini, quindi sulle terapie domiciliari e sull’uso di uno schema terapeutico condiviso. È stato tuttavia durante questa importante occasione d’incontro che è arrivata la brutta notizia: l’Italia ha deciso di nuovo di adottare le zone rosse e dunque il lockdown. Proprio dagli studenti, la cui partecipazione è stata più fiacca rispetto agli anni precedenti a causa della distanza provocata dal Covid, è arrivata la dichiarazione di “sentirsi morire” sentendosi privati in modo definitivo dell’ossigeno per vivere. La vita. Le relazioni sociali, i rapporti umani.

La sensazione che si respira stando accanto a loro, malgrado la distanza provocata dalla tecnologia, è che siano arrivati ad un livello di saturazione insostenibile. La loro vita privata, il contatto umano, lo sviluppo delle relazioni sociali, sono state piegate alle ragioni di un terrorismo mediatico diffuso a piene mani, che li sta condannando all’esercizio di un isolamento non umano e a fronte di numeri che nel loro complesso sono ancora sostanzialmente bassi.  Meno di 3000 persone in terapia intensiva rispetto alle 8.000 terapie disponibili, poco più  di 350.000 positivi rispetto agli oltre 3.000.000 di persone complessivamente colpite, la gran parte delle quali ormai guarita. Malgrado il rapporto dei malati sia di 5 su 100, e il tasso di mortalità  sia pari a 0,5 ogni 100, abbiamo davanti lo spettro di un’angoscia collettiva sollecitata e alimentata che sta logorando un’intera generazione. Sballottata nel volgere di poche settimane da un ampio e diffuso benessere, ad una cultura della morte.

È la ragione di una partecipazione reale e fortemente sentita che ha assolto alla sua funzione: far pensare. Allo stesso modo costituisce un termometro dello stato emozionale del momento. Soprattutto dei più giovani. Soprattutto dei meno tutelati psicologicamente alla gestione dello stress. È quello che rimane. Un senso d’incompiuto che obbliga ad interrogarci: come recupereremo  questa parte di generazione colpita nel profondo?

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Social pericolosi ma dov’è la famiglia? https://www.milano-positiva.it/2021/01/25/social-pericolosi-ma-dove-la-famiglia/ Mon, 25 Jan 2021 11:41:23 +0000 https://www.milano-positiva.it/?p=4171 Ci s’interroga ormai da qualche anno sui pericoli dei social network. Sulla loro pervasività, sulla loro reale capacità d’incidere sui comportamenti delle persone più fragili a partire dai giovani. Nelle […]]]>

Ci s’interroga ormai da qualche anno sui pericoli dei social network. Sulla loro pervasività, sulla loro reale capacità d’incidere sui comportamenti delle persone più fragili a partire dai giovani.

Nelle scorse ore ancora una tragica notizia. Una bambina di 10 anni che, accettando un pericoloso challenge su un noto social (non gli faremo qui pubblicità) ci ha rimesso la vita. Accade a casa nostra, accade dopo i moniti, gli allarmi e le normative già in essere nel nostro Paese. Il che significa una sola cosa: al di là delle norme e della scuola quello che sta venendo a mancare nella nostra comunità è il concetto di famiglia.

Cioè di quella forma associativa di convivenza determinata da un vincolo affettivo la cui identità è data dalla vicinanza, dalla solidarietà e dall’amore. Amore inteso come possibilità di essere vicini e allo stesso tempo di responsabilizzare attraverso l’esempio, mediante i comportamenti. Invece stiamo assistendo ad un costante continuo sfilacciamento delle radici, dei legami, della coscienza data dalla presenza intesa anche come consapevolezza che l’esserci contraddistingue ciò che è famiglia. Esserci non solo fisicamente, ma anche da un punto di vista della consapevolezza tramandata nell’osservare criticamente la realtà. Nell’essere parte della comunità mantenendo intatta la consapevolezza che l’amore verso sé e gli altri si declina mediante una presenza attenta del rapporto con gli altri, agevolando una coscienza critica di ciò che si fa e si è dentro un contesto sociale. “Prima di attraversare la strada, sulle strisce pedonali guarda a destra e a sinistra e attraversa solo se la strada è sgombera”. Trovare il tempo per fornire ai nostri figli la coscienza che il sapersi interrogare in relazione a ciò che siamo con gli altri rappresenta la sfida più importante per combattere i rischi del web. Recuperando allo stesso tempo il senso della famiglia perduta. Un esercizio che richiede volontà. Personale, individuale, sociale e politica.

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La figlia sta bene, ma la scuola l’obbliga a fare il tampone https://www.milano-positiva.it/2021/01/22/la-figlia-sta-bene-ma-la-scuola-lobbliga-a-fare-il-tampone/ Fri, 22 Jan 2021 08:45:48 +0000 https://www.milano-positiva.it/?p=4168 È accaduto in Italia, in una scuola del nord. Quanto state per leggere è il racconto fatto direttamente da una mamma che fa la farmacista e una mattina si sente […]]]>

È accaduto in Italia, in una scuola del nord. Quanto state per leggere è il racconto fatto direttamente da una mamma che fa la farmacista e una mattina si sente chiamare dalla scuola dove si trova sua figlia. Il resto ve lo faccio raccontare da lei. Ringrazio il medico che me l’ha segnalata questa storia incredibile

Stamattina ho portato A. a scuola e sono andata a lavoro.
Ovviamente stava benissimo.
Verso le 10,30 telefona la scuola dicendo che la bimba aveva la febbre e di andare a prenderla.
Chiedo quale fosse la temperatura e mi dicono che l’avevano provata 3-4 volte e ogni volta dava temperatura diversa . Una volta 37, poi oltre 38, poi 37,4 poi 37,8.
Gli dico che la bambina stamattina stava benissimo e il fatto che il loro termometro misurasse ogni volta una temperatura diversa già lasciava intuirne il livello di affidabilità.
Vado via dalla farmacia con un termometro digitale in borsa e vado a scuola.
All’entrata mi accoglie il dirigente scolastico e mi dice di attendere fuori la bimba e che aveva dovuto far partire la segnalazione all’asl per prassi.
Gli dico “senta, parlo con cognizione di causa dato che sono farmacista. Questi termoscanner lasciano il tempo che trovano, quindi se mi permette, vorrei provare la febbre ad Alessia con il mio termometro qui davanti a voi.”
Un po’ in imbarazzo mi dice ok.
Provo la febbre alla bimba (che era assolutamente fresca al tatto e vispa): 35.
Mostro il termometro al dirigente e dico “e quindi?”
Lui “e per oggi deve andare a casa , purtroppo devo seguire le procedure le lascio il foglio per fare il tampone in uno dei centri adibiti per gli studenti “
Io: “ la bambina non ha febbre, non ha tosse, non ha raffreddore , non ha mal di gola, in base a cosa dovrei fare un tampone?”
Lui mi dice che purtroppo una volta che il bambino viene allontanato da scuola sono costretti ad avere il tampone per riammetterli.
Chiedo se posso fare un tampone rapido a casa senza andare in un centro adibito, mi dice che se il pediatra certifica, va bene.
Senza ovviamente avere alcuna intenzione di fare un tampone a mia figlia, dico ok e vado via.
A casa riprovo la febbre a mia figlia con un termometro al galistan ( quello tipo mercurio per intenderci, che devi tenere 5 min): 35,9.
Chiamo il pediatra della mutua sempre gentilissimo, gli spiego tutto e sottolineo che non intendo fare tampone ad una bambina senza alcun sintomo.
Mi dice che gli era già successo e aveva fatto un certificato ad un bambino senza febbre e senza sintomi, senza fare tampone : non hanno accettato il bambino a scuola.
Gli spiego che io ho un tampone rapido a casa.
Lui mi dice lo faccia e poi mi faccia sapere senza nemmeno portarmi la bambina tanto se sta bene non serve vederla, poi io le lascio il certificato.
Con questo mi lascia intendere che si fida della mia parola.
Quindi “parola” sarà.
Stasera ritiro il certificato. Tampone negativo ovviamente sulla parola. E domani A. torna a scuola.
Ovviamente il mio lavoro mi consente di fare cose che un altro non potrebbe fare e in questa merda mi ritengo fortunata ( anche per il fatto di avere un pediatra con sale in zucca), però vi dico: state attenti!
Verificate la febbre davanti ai dirigenti scolastici e se serve fatevi sentire!
Non correte a fare tamponi inutili.
Non fatevi mettere i piedi in testa.

Ovviamente in un caso del genere è indispensabile far partire tempestivamente una diffida alla scuola con richiesta (da parte di un avvocato) di risarcimento.
Chiaramente valutare l’ipotesi di denunciare il DS e insegnante che in quel momento era responsabile del minore

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Chi si è battuto contro il nazismo, chi scappa davanti ad un virus https://www.milano-positiva.it/2021/01/12/chi-si-e-battuto-contro-il-nazismo-chi-scappa-davanti-ad-un-virus/ Tue, 12 Jan 2021 10:37:32 +0000 https://www.milano-positiva.it/?p=4142 Venerdì 8 Gennaio, gli studenti milanesi sono scesi in piazza. Studenti delle scuole secondarie, cioè prevalentemente dei licei, per chiedere di poter tornare a scuola. Rigorosamente in mascherina ma comunque […]]]>

Venerdì 8 Gennaio, gli studenti milanesi sono scesi in piazza. Studenti delle scuole secondarie, cioè prevalentemente dei licei, per chiedere di poter tornare a scuola. Rigorosamente in mascherina ma comunque assembrati in Piazza Duomo a Milano, hanno sfidato il virus, la paura, le regole, le psicopatologia collettiva del virus che stermina tutti, il macchiettismo politico per cui con la scusa di affollare gli ospedali si decreta un’emergenza anche se le persone in terapia intensiva sono 2800 e i posti disponibili, in Italia, sono 11.000, e malgrado fino al 2019 i morti in Italia siamo stati 650.000 ogni anno, dal 2015, mentre nel 2020 sono stati 700.000, cioè 50.000 in più, ovvero circa l’8% in più. Uno scostamento importante ma non quello tsunami da guerra mondiale di cui molta stampa ha parlato.

Certo il dolore di un figlio che ha perso il padre, o di un padre che ha perso il figlio, non potrà mai essere sanato, e merita tutto il rispetto di chi ha potuto evitare questo dramma. Resta il fatto che c’è una generazione, quella dei nostri nonni, che a un certo punto s’è trovato in casa Benito Mussolini e Adolf Hitler, ed è andata a combattere, rivoltandosi contro chi aveva instaurato una dittatura. Sapendo di poter essere fucilato, in quanto traditore, o di poter morire in battaglia. Tante famiglie si sono adoperate per salvare la vita ad ebrei perseguitati dai nazifascisti e per questo sono stati trucidati, condotti nei campi di sterminio, torturati.

Nel 2020, invece, paradigma dell’ignavia, è lo spot che sulle tv tedesche è andato in onda in cui facendo vedere una coppia nel 2050, si ricorda il 2020 in cui per salvare vite umane i giovani sono rimasti in casa a cazzeggiare davanti alla tv.

Per fortuna non è così. O non è sempre cosi. Ci sono ragazzi italiani che si ono radunati nella principale piazza milanese per far sentire tutto il loro malcontento, il loro dissenso, la loro volontà di tornare a scuola, in sicurezza, con il senso di responsabilità di sapere che la pandemia può colpirli e che per questo occorre attenzione. Ma che proprio per questo non si rinuncia alla vita. In calce al pezzo, trovate il video della manifestazione e il loro pensiero.

La rinuncia invece è diventata un benchmark di questo Governo. In combutta con un sistema sanitario falcidiato da misure di contenimento economico, con governi di destra e di sinistra negli ultimi 20 anni, ha subito tagli ovunque. Sui reparti, sugli ospedali, sul personale medico e paramedico. E che se n’è fottuto di adempiere ad un compiuto piano pandemico, aggiornandolo e soprattutto testandolo, così da non essere scoperti – privi di tutele – in caso di necessità. Volgari ed inetti, invece, gli organi competenti se ne sono altamente sbattuti di lavorare per preservare vite umane: questa è stata la nostra politica.

Le uniche voci fuori dal coro sono quelle di questi ragazzi che hanno avuto il coraggio di dire basta a questa vergogna, per cui davanti ad una pandemia si scappa, come fanno i vigliacchi quando c’è da combattere. Perché oggi, Gennaio 2021, non siamo nel Febbraio 2020 quando poco o nulla sapevamo del virus. Oggi sappiamo come combatterlo, come limitarlo. Non serve restare a casa. Serve ritornare alla vita, riaprire cinema e teatri, bar e ristoranti, e combattere con le armi che la moderna epidemiologia ci ha spiegato si possono utilizzare: mettere la mascherina, avere con sé dell’Amuchina e tenere un’adeguata distanza. È quello che hanno fatto questi giovani ( e con loro anche i genitori di questi ragazzi) che hanno deciso di dire basta alla fuga. Se c’è una guerra, come la retorica dei megafoni di Stato urla, allora si va a combattere. Si resta negli uffici, nei negozi, negli store, nei teatri e si continua la vita.

Se poi chi di dovere mettesse a disposizione i medici, ce ne sono oltre 10.000 che non sono potuti andare in corsia per gli ostacoli della burocrazia e dei baroni dentro gli ospedali, desse loro i DPI e oggi i vaccini, potremmo vaccinare tutti gli italiani per due volte entro la fine di Aprile. Con 60.000 medici di base e 20 vaccinazioni a testa al giorno, avremmo vaccinato tutti due volte entro la fine di Aprile. E da quel momento avere una nazione Covid – free.

Ma tra l’andare a combattere e scappare, è più facile scappare. Dalle responsabilità e dalla coscienza di sapere che la verità non è quella che ti raccontano. Come testimonia Francesco Zambon, ricercatore dell’Oms che alla fine in Procura a Bergamo c’è andato malgrado l’Oms abbia fatto valere l’immunità diplomatica per non mandarcelo. E c’è andato per dire che numeri alla mano e dopo opportune verifiche, s’è constatato che in Italia il piano pandemico non c’è, non è stato aggiornato dal 2006.

In guerra, si chiamano traditori.

Ecco le immagini degli studenti in Piazza Duomo a Milano

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L’Ambrogino d’oro a Fedez e Ferragni https://www.milano-positiva.it/2020/11/17/lambrogino-doro-a-fedez-e-ferragni/ Tue, 17 Nov 2020 08:55:32 +0000 https://www.milano-positiva.it/?p=4035 Il prossimo 7 Dicembre una Milano spettrale, agonizzante in un letto da un punto di vista economico, assegnerà i suoi Ambrogini d’oro, che sono il massimo riconoscimento che la città […]]]>

Il prossimo 7 Dicembre una Milano spettrale, agonizzante in un letto da un punto di vista economico, assegnerà i suoi Ambrogini d’oro, che sono il massimo riconoscimento che la città conferisce alle persone meritorie; ovvero che si sono distinte per azioni che hanno fatto del bene alla collettività. Tra loro è previsto che siano premiati Fedez e Ferragni. Uno fa il musicista, l’altra è un’influencer. Entrambi finiti spesso nel tritacarne mediatico per ragioni diverse. Il primo ha beccato una nota associazione di consumatori che chiedeva fondi per il Coronavirus ma in realtà quei soldi, è l’accusa del cantante, andavano all’associazione stessa. Apriti cielo, l’associazione ha denunciato Fedez e poi anche un noto presentatore della RAI per abuso d’ufficio. La seconda si è resa protagonista di uno spot per invitare i giovani ad andare a visitare i musei. E subito tutti gli appartenenti all’intellighenzia nostrana le sono saltati addosso: può una ragazza così fare pubblicità ad una cosa seria come sono i musei?

La nostra risposta, per quanto ininfluente, è che stiamo dalla parte di Fedez e Ferragni. Descritti come due deficienti, in realtà sono due ragazzi con la testa sulle spalle. Hanno condotto battaglie sacrosante, l’ultima a favore degli operatori dello spettacolo ed hanno contribuito a raccogliere oltre due milioni di Euro per una categoria maltrattata dal governo che non ha riconosciuto il diritto a questi protagonisti della nostra cultura di poter continuare a lavorare. Sono aperti i fast food, bloccati invece attori e attrici, musicisti e poeti per la sola ragione di essere causa di assembramenti, che si sarebbero potuti evitare con semplici accorgimenti tecnici che avrebbero permesso di continuare a loro di fare gli artisti e al Covid di non diffondersi. Siccome però Fedez e Ferragni sono giovani e belli, urticanti nella loro ricchezza di diversamente adolescenti, con Fedez che somiglia più a un cartone animato che non allo stereotipo dell’intellettuale parigino, allora si è deciso di contestarne qualunque scelta, qualunque comportamento. I fatti però dicono che entrambi hanno saputo comunicare bene e aiutare chi ha bisogno. L’Ambrogino lo assegnano per quello. E se lo sono meritati. Vivono nell’oro, producendo fatturati milionari. Sanno parlare alla pancia della gente. Se la gente non sa più usare la testa, rivolgete lo sguardo a chi ha fatto della cultura un’isola per pochi. Ed inaccessibile.

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La scuola, questa sconosciuta https://www.milano-positiva.it/2020/10/14/la-scuola-questa-sconosciuta/ Wed, 14 Oct 2020 12:46:09 +0000 https://www.milano-positiva.it/?p=3953 Un professore si è rotto un dito. Quindi è in malattia per un mese. Niente lezioni in aula e neppure a distanza. Un altro invece è immunodepresso. Nell’attesa del vaccino […]]]>

Un professore si è rotto un dito. Quindi è in malattia per un mese. Niente lezioni in aula e neppure a distanza. Un altro invece è immunodepresso. Nell’attesa del vaccino ha chiesto di essere messo in malattia per tre mesi. Fino a dicembre. Anche in questa circostanza, non solo non fa lezione in aula. Ma neppure a distanza. Nel frattempo i suoi alunni devono arrangiarsi con delle sostituzioni settimanali. Nessun professore vuole essere messo sotto contratto per meno di due mesi, venendo depennato dalle liste d’attesa per avere un ruolo almeno annuale. Cosi, supponiamo, una classe quinta che quest’anno deve fare la maturità, si trova nella condizione di non avere un docente nella materia più importante che dovranno portare a Giugno. Un altro ancora, tra i docenti, ha un ginocchio rotto. Anche questa circostanza porta direttamente ad escludere il professore dalle lezioni d’aula. Senza fare sterili ed inutili polemiche contro il ministro che segue ad un predecessore, e precede un successore, viene in ogni caso da mettersi le mani nei capelli. In una scuola di Milano, che una situazione del genere possa essere accettata e sdoganata come normale, appare non solo sconveniente: ma un tantino folle. Eppure di casi come questi ce ce ne sono a migliaia. E non solo a Milano. Professori quindi reperiti dal mezzogiorno, magari precari nel capoluogo lombardo allocati in qualche casa di fortuna, con una vita precaria tanto quanto il loro stipendio, si occupa di passare da una scuola ad un’altra, saltabeccando tra una cattedra e l’altra nell’attesa che qualcosa succeda. Intanto i ragazzi pagano pegno per questo disprezzo che quarant’anni di cattiva gestione hanno prodotto. Molti di loro arriveranno impreparati all’esame di maturità, con una formazione approssimativa, proprio nell’anno che precede la loro iscrizione all’università. Iqn un mondo della scuola che non solo non li sa introdurre nel mondo degli atenei, ma che addirittura non riesca declinare la propria natura. In questo caos generazionale e amministrativo, tra assurdità normative, per cui chi si rompe un dito sta a casa un mese, chi un ginocchio magari tre, e se si tratta di una malattia cronica, magari potrebbe trovarsi stipendiato per anni, gli studenti pagano lo scotto maggiore. Non vengono preparati, non sono addestrati ad affrontare il mondo universitario e arrivati nel terzo millennio imparano leggendo e ripetendo, dimenticando dopo due giorni quello che hanno registrato nella loro mente: nel più classico analfabetismo di ritorno. Difficile immaginare un futuro per questi ragazzi, trasformati in vittime sacrificali sull’altare della burocrazia e dei diritti. Diritti di e per tutti, tranne che per loro. Sprovvisti di qualunque tutela, in preda ai barbari della TV, che squalifica qualunque dignità e disciplina didattica e formazione culturale; e vittime anche dei social media, che propongono una visione della vita da ubriachi da bar, o da tossicodipendenti umorali, castrati dalla sottocultura dell’immagine e dalla pleonastica arroganza della società del consumo. Condizione sociale dove il danaro è l’unica cosa che conta, anche a scapito dell’etica individuale. Il degrado della scuola è dato dalla rinuncia all’esercizio della critica e della violenza intellettuale. Per liberarsi dalle catene che tengono legato l’uomo occorre poter studiare e amare lo studio come sbocco verso la coscienza. Il contrario dell’ottundimento collettivo odierno e del disinteresse mostrato verso i più giovani

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47 anni davanti ad uno schermo: che vita è questa? https://www.milano-positiva.it/2020/09/24/47-anni-davanti-ad-uno-schermo-che-vita-e-questa/ Thu, 24 Sep 2020 19:39:57 +0000 https://www.milano-positiva.it/?p=3901 Una vita davanti allo schermo. Quasi 50 anni. È questa una ricerca pubblicata oggi sul Corriere della Sera (https://www.corriere.it/tecnologia/20_settembre_24/gli-italiani-display-passiamo-quasi-47-anni-vita-a-schermo-efcfb32-fe60-11ea-a30b-35e0d3e9db56.shtml) che descrive in modo purtroppo drammatico come spende la propria vita […]]]>

Una vita davanti allo schermo. Quasi 50 anni. È questa una ricerca pubblicata oggi sul Corriere della Sera (https://www.corriere.it/tecnologia/20_settembre_24/gli-italiani-display-passiamo-quasi-47-anni-vita-a-schermo-efcfb32-fe60-11ea-a30b-35e0d3e9db56.shtml) che descrive in modo purtroppo drammatico come spende la propria vita la gran parte delle persone oggi. Centinaia di migliaia di ore trascorse dentro una realtà virtuale, rinunciando alla vita reale. Una proiezione fantasmatica continua, la vita come un miraggio, a cullarsi dentro illusioni create ad arte da chi vende emozioni fittizie al banco della vita.

In questo squallore facciamo crescere i nostri figli, i nostri ragazzi, depauperandoli della loro ricchezza maggiore: la reciprocità umana, fatta di profumi, di carezze, di sguardi, di rifiuti e di baci. Barattiamo la vita in cambio di sogni a buon mercato che immancabilmente vengono traditi. Svellere le radici profonde dell’umano, a questo servono le ragioni del capitale umano, esercizio contemporaneo in cui la tensione morale collettiva tende alla monetizzazione costante delle azioni. Oggi poi con lo smart working, possiamo ratificare il virtuale come reale, l’apparenza come sostanza, la quotidianità senza emozione come una naturale conseguenza dell’esacerbata ambizione al profitto, in cui il contenitore conta più del contenuto, l’immagine della sostanza: narcisismo al quadrato. L’evoluzione che declina verso il suo contrario, in un’esasperata corsa all’approvvigionamento, meglio se attraverso uno schermo. Abbiamo costruito un mondo e generato un vuoto che riempie il cielo e gli abbiamo dato un nome: televisione, oggi social network. Spegnete la tv e chiudete i cellulari. La vita è altrove.

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Con i giovani solo a parole https://www.milano-positiva.it/2020/09/23/con-i-giovani-solo-a-parole/ Wed, 23 Sep 2020 10:37:28 +0000 https://www.milano-positiva.it/?p=3898 Non possono salire sui mezzi di trasporto pubblico in sicurezza. Non possono entrare in un oratorio, senza adeguata iscrizione. È loro precluso l’uso di luoghi pubblici in cui assentarsi, perché […]]]>

Non possono salire sui mezzi di trasporto pubblico in sicurezza. Non possono entrare in un oratorio, senza adeguata iscrizione. È loro precluso l’uso di luoghi pubblici in cui assentarsi, perché significherebbe mettere a repentaglio la loro vita.

Non possono andare allo stadio, in palestra, in discoteca. A scuola dovrebbero stare con la mascherina, la visiera, presto gli verranno imposti i guanti. Non possono giocare a pallone, fare attività fisica, perché tutto è potenzialmente pericoloso.a causa del Covid.

Abbiamo loro precluso una vita normale, sottraendo anche il diritto a una vita se è vero che qualcuno recentemente ha proposto persino che si faccia l’amore, a qualunque età, indossando la mascherina. Infine li abbiamo condannati mediaticamente, li abbiamo bastonati su giornali e tv, e poi minacciati con l’uso della forza pubblica per disperdere la loro energia vitale.

Quando poi sentiamo però che un sempre maggior numero di ragazzi fa uso di psicofarmaci facciamo finta d’indignarci e sorprenderci, chiedendoci come mai possa accadere una cosa del genere. Li alleviamo educandoli ad avere paura, allontanandoli da qualnque difficoltà, proteggendoli da quegli sforzi, anche dolorosi, a cui la vita ci sottopone, convinti come siamo “che loro non debbano vivere quello che abbiamo vissuto noi o i nostri padri”. Accade così che un rifiuto, un no, un insuccesso diventino motivo per crisi profonde, da cui una vasta platea di giovani non riesca a sottrarsi. Di più: molti scappano e si rifugiano nel mondo ideale di Internet preda di un tribalismo che li conduce dritti a tatuarsi nel necessario bisogno di manifestare sulla pelle il disagio chi non sanno dare parole. Insieme agli smartphone l’ultima tratta di un percorso all’inverso, di regressione profonda di una generazione tenuta lontano dal conflitto e dalla guerra per paura della morte, diventato lo spettro di cui mai parlare

Questa generazione di adulti ha molto da interrogarsi sulla mancata adozione di un’identità, smarrita nei meandri di un narcisismo patologico.

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